Il Tagliere: con noi dalla Preistoria alla plastica.

cucina

Mi piace rapportarmi agli oggetti nelle sue qualità atemporali e qui vi propongo uno sguardo dedicato al tagliere, ovvero un oggetto talmente comune da essere considerato banale, ma che di fatto accompagna l'uomo fin dall'epoca preistorica e che quindi merita qualche attenzione.

Per collocarlo storicamente riporto qui sotto un brano tratto da Tools for Food di Corinne Mynatt, un'appassionata esploratrice degli strumenti che influenzano il cosa e il come mangiamo.

Poi ho pensato di sviluppare il binomio oggetti & storie, sempre al centro della mia ricerca, associando l'utensile in questione a un mio racconto, un piccolo testo scritto lasciando che il pensiero di quest'oggetto mi portasse dove voleva.

Oggetto: il Tagliere
"Da quando si usano i coltelli per preparare gli alimenti, occorre una superficie affidabile su cui tagliarli e lavorarli. In Cina, dove si impiegavano nel quotidiano grandi mannaie da cucina, c'era bisogno di blocchi di legno spessi per sostenerne la forza d'urto. I blocchi avevano linee essenziali" e potevano essere una "sezione di tronco d'albero stagionata e oliata...

In Occidente i grossi ceppi erano usati perlopiù dai macellai, poi il tagliere si introdusse gradualmente nelle cucine domestiche, specie dopo che le moderne tecniche di fresatura e l'avvento della sega circolare permisero di produrre una tavola di legno piatta. Se i blocchi dei macellai erano enormi postazioni a sé stanti, i taglieri portatili si dimostrarono assai più pratici nell'uso quotidiano. Non solo proteggono la superficie sottostante, ma evitano danni al coltello o all'altro strumento impiegato. Alcuni ceppi medievali avevano manici in ferro battuto, mentre i taglieri da pane di epoca vittoriana presentano profili intagliati con iscrizioni e spighe.

Infine arrivò la plastica, materiale malleabile e pratico su cui tagliare; il legno, però, rimane preferibile per le sue proprietà naturalmente antisettiche. Alcuni taglieri di oggi hanno scanalature per raccogliere succhi e briciole, ma una semplice tavola di legno è tutto ciò che serve." (cit. Oggetti da cucina di Corinne Mynatt, Slow Food Editore)

Storia: Un taglio ancora.
Il padre gli aveva detto che il mattino seguente si sarebbero svegliati all’alba, perché per raggiungere il bosco avrebbero dovuto camminare diverse ore.
Partirono, coperti quanto bastava per sopportare il freddo e carichi del peso di seghe e asce. 
Da anni ormai si esercitava tutti giorni: gli era stato insegnato come posizionare i piedi, come piegare le gambe per mantenersi al contempo saldo ed elastico, come alzare la lama e con quale velocità e inclinazione abbatterla sul solido ceppo.
Che su quello ci fossero stati legno o cibo non faceva differenza, suo padre pretendeva un taglio netto, assestato con precisione nel punto stabilito. Sembrava più facile di quanto in realtà non fosse e nel tempo aveva cercato di ridurre ogni genere di cosa in pezzi di una misura esatta.
Calpestarono a lungo la neve fresca e finalmente raggiunsero una piccola radura nel cuore della foresta. Posarono i loro attrezzi e per un momento lasciarono che nell’aria ci fossero soltanto i loro respiri affannati e la splendida luce dell’alba. Fredda, nitida e carica di promesse.
Scelsero un abete piuttosto alto e lo segarono alla base, spartendosi la fatica. Livellarono il largo ceppo e, quando fu pronto, il padre estrasse dalla sacca un coniglio vivo. Gli disse che non avrebbe dovuto soffrire, e così fu. 
Dovette lavare via il sangue con l’acqua delle borracce e poi fu la volta di un grosso ramo. Da questo, con il minor numero possibile di mosse, avrebbe dovuto trarre un cubo, i cui lati dovevano essere lunghi quanto il palmo della sua mano. Con una rapidità sorprendente, il ragazzo ottenne un volume pressoché perfetto.
Il padre allora posò sul ceppo un minuscolo ago di pino e gli chiese di dividerlo in tre parti uguali, facendo calare l’ascia da sopra la testa. Lui sollevò l’accetta, aspettò di sentire i battiti del proprio cuore e, quando questi furono sufficientemente lenti, assestò i due colpi. 
Il padre si avvicinò, raccolse i tre pezzi dell’ago e li ripose in una piccola scatola d’argento che portava sempre con sé nella tasca dei pantaloni. 
Colmo di un sentimento di cui non percepiva i confini, guardò il figlio negli occhi e gli chiese di calare ancora una volta la lama sul ceppo, con tutta la forza e la sicurezza che si era saputo conquistare nei lunghi anni di faticoso esercizio.
Il figlio fissò sorpreso il ceppo vuoto, quindi ricambiò lo sguardo del padre.
Poi capì, il momento tanto atteso era arrivato e la vita era ormai nelle sue mani. Allora alzò l’ascia con amore e finalmente, con precisione, tagliò.


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